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Autogol aziendali: i comportamenti controproduttivi in ambito lavorativo.

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Definire i comportamenti controproduttivi
Cosa si intende per comportamenti controproduttivi?

(di Anna Boetti Villanis, consulente Pyxis)

Come definire i comportamenti controproduttivi in ambito lavorativo (o CWB, cioè counterproductive work behaviors)?

La definizione più comunemente utilizzata in ambito scientifico è quella di Sackett e De Vore (2001), cioè “ogni comportamento intenzionale da parte di un membro dell’organizzazione visto dall’organizzazione come contrario ai propri legittimi interessi”.

La definizione data mostra che i comportamenti controproduttivi includono solo comportamenti intenzionali e volontari che, quasi invariabilmente, violano importanti norme e/o valori organizzativi e influiscono negativamente su vari aspetti dell’organizzazione per quanto riguarda gli obiettivi, i membri, le procedure, la produttività e i profitti.

I costi per le organizzazioni
Quanto costano alle aziende persone che agiscono in modo contro-produttivo?

Studiare questo fenomeno diventa cruciale se si considera l’impatto economico negativo di tali comportamenti.

Attraverso alcune ricerche si è arrivato a stimare che i CWB costino annualmente alle aziende americane milioni di dollari; se si valuta questa stima a livello globale il costo raggiunge i miliardi di dollari (Bennett, Marasi, & Locklear, 2019).

Un altro dato allarmante arriva dal United States Department of Commerce, il quale ha determinato che circa un terzo di tutte le bancarotte organizzative siano co-causate dai comportamenti controproduttivi dei dipendenti.

Inoltre, bisogna considerare che questi comportamenti influenzano l’organizzazione non solo direttamente, a causa di implicazioni economico-finanziarie, ma possono anche influenzare altri stakeholder e soggetti rilevanti per l’organizzazione (ad esempio altri dipendenti, clienti, fornitori, ecc.) e danneggiare fortemente la reputazione, interna ed esterna, dell’azienda.

I costi per i dipendenti

In Psicologia sociale e organizzativa i comportamenti controproduttivi sono spesso considerati il frutto di emozioni negative quali la rabbia e la frustrazione; oppure come una risposta del lavoratore a condizioni ambientali e lavorative percepite come negative.

Di contro, come un gatto che si mangia la coda, i dipendenti che mettono in atto questo tipo di comportamenti sono più portati a sviluppare problemi collegati allo stress, a dare le dimissioni ed esperire bassa autostima, mancanza di sicurezza in se stessi e disagio fisico, psicologico e lavorativo.

Mele marce o disfunzionalità organizzativa?

Ciò che rende un dipendente funzionale all’azienda non è solo la prestazione legata al proprio lavoro quotidiano, ma anche i comportamenti di engagement o disengagement nei confronti dell’organizzazione di cui fa parte. In questo senso, i CWB possono essere considerati come una dimensione delle prestazioni lavorative, insieme al comportamento di cittadinanza organizzativa (OCB) e alle prestazioni riguardo al compito (Rotundo & Sackett, 2002).

In questo senso, occorre pensare ai comportamenti controproduttivi come sottoprodotto di una disfunzionalità del sistema organizzativo in cui il dipendente si trova e con cui interagisce.

Per contrastarli, bisogna che il sistema organizzativo se ne faccia carico, non essendo possibile ritenere che la rimozione di una “mela marcia” risolva tutti i problemi ed esoneri dal riconoscimento delle responsabilità di ognuno dei soggetti coinvolti.

Quali gli antecedenti, ovvero le cause, dei comportamenti controproduttivi?

Comprendere le cause dei comportamenti controproduttivi sul posto di lavoro può fornire ai leader organizzativi un vantaggio sostanziale nel ridurre gli effetti e l’incidenza di questi comportamenti negativi sul posto di lavoro.

I comportamenti controproduttivi possono dipendere da fattori personali oppure organizzativi: nella maggioranza dei casi è un’interazione fra queste due tipologie di fattori che portano un dipendente a compiere azioni contrarie all’interesse della propria organizzazione.

Si possono individuare fra i fattori causali più influenti:

  1. Stress lavoro-correlato
  2. Ingiustizia organizzativa percepita
  3. Rapporto con i team-leader o i manager

Stress lavoro-correlato

Quando sottoposti ad eccessivi fattori di stress ambientale, gli individui provano emozioni negative come rabbia o ansia. Queste emozioni sono seguite da reazioni agli stressor: tensioni psicologiche, fisiche o comportamentali. Questi comportamenti consentono alle persone di far fronte ai fattori di stress, diminuendo le emozioni provocate dal fattore stressante o rimuovendo lo stressor (la ragione dello stress) stesso.

In ambito lavorativo le ricerche hanno evidenziato che, per far fronte all’esaurimento emotivo, i dipendenti possono mettere in atto comportamenti controproduttivi. Per esempio possono rallentare intenzionalmente il proprio rendimento, fare pause più lunghe di quanto consentito, trattare male un collega, danneggiare la reputazione dell’azienda attraverso storytelling più o meno veritieri. Oppure una somma di questi!

Ingiustizia organizzativa percepita

Gli studi dimostrano che la percezione di ingiustizia sia fra i più forti predittori di comportamenti controproduttivi.

Quando si parla di ingiustizia organizzativa, si fa riferimento a comportamenti e atteggiamenti che dimostrano mancanza di correttezza, dignità e rispetto da parte delle figure autorevoli incaricate di implementare le procedure aziendali, prendere decisioni e distribuire i risultati.

Rapporto con i leader

Il rapporto fra i leader e i membri di un’azienda è un importante fattore che determina la messa in atto di comportamenti controproduttivi da parte dei dipendenti. Questo dipende dal fatto che i leader sono visti da molti dipendenti come “ambasciatori” dell’organizzazione e i loro comportamenti caratterizzano e contribuiscono ad impostare la relazione fra il dipendente e la propria organizzazione.

Sono mediatori aziendali!

D’altro canto, la qualità dei rapporti personali fra i leader e i dipendenti sembra avere una funzione “cuscinetto” nella relazione fra l’ingiustizia percepita e i comportamenti controproduttivi.

Si ipotizza che una relazione positiva fra leader e follower possa configurarsi come una motivazione psicologica abbastanza forte da impedire che vengano compiute azioni controproducenti o aggressive nei confronti dell’organizzazione. La relazione positiva leader-follower sembra infatti attenuare gli effetti degli stressor che antecedono i comportamenti controproduttivi.

Azioni organizzative con effetto boomerang

I manager in azienda hanno una forte responsabilità nel comunicare in modo trasparente, corretto e consistente, iniziative e cambiamenti che vengono intrapresi; il rischio altrimenti è la sbagliata interpretazione da parte dei dipendenti delle azioni che l’organizzazione decide di mettere in atto, pur nell’interesse dei dipendenti stessi.

Facciamo l’esempio di aziende che mettono a disposizione iniziative di equilibrio vita-lavoro: nonostante queste iniziative siano utilizzate per aumentare l’engagement e la retention dei dipendenti, possono esserne ridotti i benefici o addirittura accorgersi che essi vengono messi in ombra per un corrispondente e controintuitivo aumento dei comportamenti controproduttivi. Questo avviene appunto nel caso in cui l‘implementazione delle iniziative sia scadente, in termini sia di distribuzione (????) sia di informazione nei confronti dei dipendenti.

Come ridurre e fronteggiare comportamenti controproduttivi?

Risulta evidente che i fattori stressanti connessi all’attività lavorativa non sono del tutto eliminabili in nessuna organizzazione.

La buona notizia è che possiamo ridurre i comportamenti disfunzionali nelle organizzazioni e contrastarne gli effetti, deleteri a livello umano ed economico.

Alla luce di quanto analizzato finora, è fondamentale ridurre la percezione di ingiustizia eventualmente percepita dai dipendenti: serve quindi una particolare attenzione a:

  • la gestione dello stress lavoro-correlato, tipicamente attraverso la progettazione e implementazione di programmi di wellbeing per migliorare benessere psicofisico
  • la formazione “soft” di team-leader e manager, attraverso il coaching individuale o in gruppo
  • le attività di empowerment, reward e promotion comunicate e implementate adeguatamente. Per esempio si possono implementare programmi anche semplici di incentivazione delle prestazioni “funzionali” ai piani di sviluppo d’impresa, non trascurando di includere nei KPI di performance una componente importante relativa ai comportamenti di leadership in linea coi valori, la cultura ed il clima aziendale che si vuole instaurare

Attività spesso erroneamente ritenute collaterali o non indispensabili all’ordinario funzionamento di un’organizzazione, sono invero fondamentali per impedire che i dipendenti si rivoltino contro l’organizzazione, che i giocatori facciano volontariamente autogol e si perdano partite importanti.

 


 

Bibliografia e sitografia

Bennett, Marasi, & Locklear, International Encyclopedia of the Social & Behavioral Sciences, 2nd edition, pp.722-726, Elsevier, 2019.

Colquitt, J., (2001). On the dimensionality of organizational justice: A construct validation of a measure. Journal of Applied Psychology, 86, 386–400.

Eisenberger, R., Stinglhamber, F., Vandenberghe, C., Sucharski, I. L., Rhoades, L., (2002). Perceived supervisor support: Contribution to perceived organizational support and employee retention. Journal of Applied Psychology, 87, 565–573.

Penney, L. M., Spector, P. E., (2005). Job stress, incivility, and counterproductive work behavior: the moderating role of negative affectivity, Journal of Organizational Behavior, 26, 777–796.

Rotundo, M., Sackett, P. R., The relative importance of task, citizenship, and counterproductive performance to global ratings of job performance: A policy capturing approach, in Journal of Applied Psychology, 87(1), 66-80, 2002.

Sackett, P. R., DeVore, C. J., Counterproductive behaviors at work. In N. Anderson, D. S. Ones, H. K. Sinangil, & C. Viswesvaran (Eds.), Handbook of industrial, work and organizational psychology, 1, 145–164. London: Sage, 2001.